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Per me Malinconico è tipo il guru di come vorrei essere; in vero siamo un po’ tutti Malinconico quando i nostri inconsci ma persistenti tentativi di autosabotaggio vanno a scatafascio e allora va tutto alla grande e ci chiediamo dov’è che abbiamo toppato per essere davvero sinceramente così felici. Boh. Me lo son chiesto molto spesso anche io ultimamente, ma persevero nel mio piantare semi di legnosi e solidi problemi (non vendo sogni, infatti). Confido nella mia abilità. Insomma, vabbè, parlando di cosa è questa storia di Malinconico, la trama è breve (è su tutto il resto che mi dilungo): viene incastrato in una causa che una class action di sottoni (chiamati così per brevità) vuole intentare contro i propri partner per infelicità amorosa. Qua il mio animo sottone si è davvero sentito colpito nel profondo: siamo davvero così? Ebbene sì (mi fido dell’occhio di De Silva). Siamo lì che deridiamo questi disperati sparando a zero sulla debolezza della loro forza d’animo che gli impedisce di chiudere le relazioni deleterie e poi invece facciamo tutti uguale. Fine della riflessione. Fatte le dovute presentazioni all’ultimo romanzo, mi rendo conto che tutto ciò che dice/pensa Malinconico io l’ho già dentro di me e lui contribuisce unicamente a sbarbarlo fuori; non si tratta solo di considerazioni romantiche e profonde, ma anche di quanto sia stronzo il bancomat che ci chiede “vuoi donare?” dandoci come scelte “Sì, voglio donare” e “No, non voglio donare” facendo leva sui nostri performanti sensi di colpa. La morale della favola è che vorrei pensare solo cose intelligenti, ma la quantità di futilità prodotte dalla mente durante la giornata è sbalorditiva e De Silva mi fa sentire giustina (nel senso cautamente giusta, non Giustina) nonostante io sia qua a rammaricarmi lo stesso; e infatti il bello di Malinconico è che nella limpidezza dei suoi pensieri più terreni ci ritrovi quell’abbraccio che non sapevi di volere. La fine di ogni parte di questa saga mi lascia sempre spaesata come quando ti svegli la mattina e pensi che sia ancora notte, come il finale di Inception, come quando stai per bere e ti accorgi che il bicchiere è ormai vuoto, come quando l’aereo al decollo stacca le ruote da terra, come quando in cima ad una rampa di scale metti il piede avanti sul “gradino fantasma”, come quando alla stazione saluti una persona che non sai se rivedrai a breve; nella mia testa sto urlando tipo il Pieraccioni ne Il Ciclone “non partire non partire!” e per l’appunto sul treno c’è nientemeno che Vincenzo Malinconico. Altro che Caterina. Ma tu vedi un poco la Madonna.