Vita mortale e immortale della bambina di Milano

Un piccolo romanzo che ha in sé il sapore dell'infanzia e dell'innocenza, quando un bastone fatto di cartone diventava una spada sguainata per un duello all'ultimo sangue, e quando un solo sguardo ad una bambina faceva credere di essere perdutamente innamorati. Una lettura piacevole e spensierata ma ricca di suggestioni.

Starnone, da che all’inizio suscitava in me un’antipatia non ben definita con questo modo accademico, specifico e denso, di raccontare, è diventato un porto sicuro: le parole di Starnone sono un abbraccio di conforto alla me impaurita, e anche in questo caso sono qualcosa di cui non sapevo avessi bisogno fino all’ultima riga. Ancora una volta uno scontro generazionale tra nonni e nipoti, racconta della cultura e dell’accessibilità all’istruzione, racconta dei grandi temi dell’amore e della morte, così lontani ma così imprescindibilmente collegati. Starnone scrive di questi temi vedendoli prima con gli occhi di bambino e da adulto in relazione al bambino che era. Scrive dell’amore – così pratico e materiale ai suoi occhi giovani, per una bambina che incauta e sprezzante del rischio si gode la vita ballando su un davanzale e con gli stessi occhi giovani si immagina di essere Orfeo che scende negli inferi a riprendere la sua Euridice danzante in caso possa cadere. Quindi scrive della morte, materializzata in una fossa nella quale si può scendere e dalla quale si può uscire, una morte tangibile che con il crescere diventa inspiegabile, impossibile da gestire e da concepire. Da bambini pensiamo di poter sanare tutto: vediamo la tristezza come un sentimento lontano, facciamo domande inopportune di fronte a situazioni per le quali gli adulti soffrono, non empatizziamo e ci meravigliamo di fronte all’amore che ci viene donato senza la pretesa di riceverne in cambio, di fronte alla disperazione e alla resilienza. Poi si diventa adulti, non ci sorprendiamo più di niente se non di fronte ai nostri morti che percepiamo con l’intensità di una strage; cerchiamo di perdere le radici al solo scopo di schivare le sofferenze sicure, radici che sono così invisibili e tenaci da riaffiorare nei momenti in cui abbassiamo la guardia. E così quella bambina milanese con le trecce diventa con la sua danza il simbolo dell’amore, della vita, della morte, della memoria, della nostalgia, dell’immaginazione.

Cosa c'è nell'ultimo libro di Starnone? C'è la vita e c'è la morte. C'è  il ricordo che rende immortali. Ci sono le parole, quello che rappresentano, il suono che hanno, i mondi che possono creare. Ci sono io, perché Domenico Starnone guarda dentro di sè così a fondo, che ci vedo persino me. E così c'è  mio padre, che è  nato nel 1943 e che riconosco nelle parole, nei gesti di Mimì e che, Starnone, mi ha insegnato ad amarlo. C'è  il mio esame di Glottologia, che fu tanto illuminante con l'analisi di quei suoni dialettali e che fu il mio primo scoglio. C'è il mio primario incontro con la morte, nel quale ho scoperto  che la temperatura di un defunto era quella di un oggetto e che non riesco ancora oggi a dimenticare. 𝐸𝑟𝑎 𝑝𝑢𝑟 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑙𝑎 𝑚𝑖𝑎 𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎𝑟𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑖𝑛𝑒. Starnò, questo libro è  una poesia. Meno male che hai incontrato le parole nella tua vita, senò commcazzfacevjə a capire un pò di più della mia vita? libr-ida-leggere 📚

Un piccolo libro di un grande scrittore. La storia di un bambino che scopre l’amore e la morte, e della nonna, tratteggiata in modo magistrale. La scrittura vivace e accurata con incursioni divertentissime nel dialetto napoletano espresso con parole in cui si uniscono quelle di una frase pronunciata in dialetto. Una bella lettura.