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Davvero ognuno di noi ha dentro un mondo che non racconta a nessuno, neanche alla persona più fidata, più amata. Perché fin quando non lo dici puoi sempre far finta che quel mondo non esista, che non sia mai esistito, ma se lo racconti, allora diventa tutto vero. Antonella Lattanzi, raccontando con estrema sincerità, a volte anche forzandosi nel non edulcorare nulla, la sua storia, racconta la storia di tutti noi. I silenzi, la vergogna, le paure, i sensi di colpa, la rabbia. E racconta anche di quanto le amicizie, le persone care possano essere fondamentali nella nostra vita e di quanto lo siamo noi stessi. Da leggere assolutamente!
Un libro di una sincerità disarmante e, soprattutto, pieno di luce, di desiderio e di speranza. Da leggere con il giusto respiro.
Scriveva Antonella Lattanzi in Questo giorno che incombe: “Come spiegare cosa vuol dire perdere una passione che ti ha accompagnata per tutta la vita? Di cui non sai dire l'inizio, perché è sempre stata con te, da che hai memoria. Una passione che è stata come una persona, un amante, un amico, un padre, una madre, una sorella - di più, molto di più -, l'amore, e che non ti ha mai abbandonata. Anche nei momenti in cui eri sola, in cui tutto andava male, e avevi perso tutto, e nessuno poteva venire a salvarti: tu non eri mai davvero sola, non avevi mai perso davvero tutto: perché c'era lei, ed era inseparabile da te. E ti dicevo Dio, mio dio, come farei se un giorno non ci fosse più, se mi disabitasse?” Di tutto ciò che viveva in quel libro io avevo memorizzato questo: l’unica perdita che non c’è stata, penso presuntuosamente, salvando l’autrice. Cose che non si raccontano è tutto il calvario a cui Antonella Lattanzi, in quanto donna, in quanto donna quarantenne, quanto donna con un lavoro impegnativo, è sopravvissuta. Racconta di ospedali barbarici, di infermiere feroci che affibbiandosi superbamente messaggere della parola di Dio hanno trasformato la donna davanti a loro in un oggetto, un oggetto sbagliato. Racconta di un’autrice a cui - dato che scrive anche di maternità, è lecito chiedere «Ma lei ha figli?». Non ho mai sentito di interviste ad autori che scrivono di paternità a cui lo chiedono. Cose che non si raccontano è un libro del dolore, un libro coraggioso che ringrazio l’autrice di aver scritto, perché avrà sicuramente scritto per sé, ma è un libro per tutte in maniera diversa. È un libro anche per la me trentenne dubbiosa, terrorizzata dall’orologio biologico, dalle mie compagne di classe che diventano madri, dalle mie aspettative di bambina e ragazza - a 28 anni avrò un figlio e la vita che desidero, dall’inadeguatezza del mio saper solo essere figlia, dalla paura dell’infertilità, dai problemi, dalla domanda sulla verità di questo desiderio che dico di avere che collide col tempo che passa rendendomi a scadenza. È una storia per chi ha abortito accanto a donne che partorivano, senza alcuna minima pietà - e non che serva la pietà, servirebbe il rispetto, ma se si parla di ospedali cattolici allora se proprio non volete rispettare abbiate pietà. È una storia per tutte le donne, considerate come macchine da aprire, sistemare, revisionare. È la storia di tutte quelle persone che in un momento così si vorrebbero mandare affanculo. È anche la storia di qualche medico dal cuore umano e la storia di amicizie con cui affrontare dolori finora sconosciuti, imparando a conoscersi da zero, ad andare oltre i silenzi, vomitando, appunto, cose che non si raccontano. Sembra una storia finta, impossibile concentrare tutta la serie di atrocità subite in 200 pagine, raccontate con un ritmo così serrato, mai un attimo di respiro. Mi scuso con l’autrice se leggendo queste parole potrà pensare che io abbia parlato in modo poco rispettoso della sua storia, appropriandomi di alcune sue paure, leggendola nuda tra le parentesi, cercando segnali che mi dicessero che era solo finzione purtroppo smentiti dal contesto dell’uscita di Questo giorno che incombe, desiderando di abbracciarla provando un dolore incondivisibile. La realtà è che come molte volte mi capita quando non so bene cosa dire, pesto merde cercando di manifestare boh, un qualcosa di simile al supporto ma che non posso in alcun modo definire tale - io le parole non le so usare granché bene.