Splendi come vita

Folgorante. Il romanzo si è destrutturato in immagini e parole. È la prima poesia-romanzo che leggo  e quello che mi è rimasto, come sedimento, è una grande emozione. Gli avvenimenti sono diventati figure e ritmo poetico, senza mai perdere il filo narrativo. Il sentimento di dolore e di impotenza di Maria Grazia si riesce a toccare, così come il suo amore,  davvero incondizionato, e, insieme a lei, ci si rassegna a non capire, mentre accadono, il perché dei gesti respingenti di Madre. Quello che si comprende perfettamente, però, è che tutte le  parole che costruiscono Splendi come vita  sono state necessarie: hanno preso corpo e possono essere guardate, pronunciate, ascoltate. Le parole sono diventate redenzione.

Per me è un libro completamente nuovo nella forma. Una poesia-romanzo che mi ha affascinata dall'inizio alla fine. Trovo che sia un libro necessario affinché le parole possano ritrovare la giusta forma in questo momento storico in cui c'è un abuso di esse. Dolore, sofferenza ma anche amore incondizionato sono tangibili.

Maria Grazia Calandrone scrive la sua storia nel giugno 2020, parlando di (e ad) una madre adottiva dalla quale ha tratto l’Amore – che ha reso questo libro così bello. Quando ha quattro anni, Madre (come ce la presenta l’autrice) le confessa di essere stata adottata interponendo fra le due un distacco tutto frutto della mente dell’adulta. La bimba dal canto suo brilla di devozione per la Mamma (come la pensa l’autrice), la difende in cerca di affetto e attenzioni, vorrebbe annientare il suo dolore che si rivela indistruttibile; la Calandrone parla di Disamore e scrive da donna diventata adulta ad una madre che prima di tutto è come lei una donna adulta, con le sue fragilità e le cattiverie che ne possono scaturire, facendo emergere una luminosità inaspettata che splende al di là dei sentimenti negativi, del dolore, al di là dell’abbandono e della morte.

Ho letto le parole di una figlia bambina, una figlia adulta, una donna che resta figlia. L’adozione di una bambina come slancio alla vita che salva se stessa, l’amore verso quella bambina, un amore scoperto, nato con una tale naturalezza da perdersi soltanto in sorrisi e calore. E poi . . . la distrazione da quella stessa vita, l’allontanamento, la sordità a quello stesso amore che aveva invece sussurrato la melodia più dolce. Interviene una rottura, quella più innaturale e più incomprensibile, la rottura decisa dalla madre verso la figlia, la rottura che sa di dolore, quello che resta inspiegato, quello che dimentica, non riesce ad afferrare alcuna salvezza. Potrebbe sembrare che restino solo le polveri di questo rapporto, potrebbe sembrare che vi siano alternative dinanzi ad un amore soffocato ma Figlia trova le sue “armi e bussole” nelle parole. Le parole che sanno accettare quel dolore, grande e profondo, sanno perdonarlo, sanno impreziosirlo e lo cullano per vederlo addormentare. Sono pagine, quelle del libro di Maria Grazia Calandrone, la cui profondità mi ha taciuto i pensieri, mi ha scavato nella mente e nel cuore per cercare ivi il perdono e capire quale sia la sua forma.