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Forse perché ci piace viaggiare - e non solo tra le pagine di carta - ma, quando abbiamo letto "I vagabondi" di Olga Tokarczuk pubblicato dalla casa editrice Bompiani, è stato amore a prima vista. Quello che scrive l'autrice polacca è un inno al viaggiare senza temere l'incontro con l'estraneo e contando sulla gentilezza dell'altro. Tra le sue pagine conosciamo la vita di molti personaggi che hanno affrontato la vita con questa filosofia e sono stati dei vagabondi. Troviamo così la sorella di Chopin che riporta a Varsavia il cuore del musicista per seppellirlo a casa, oppure l'anatomista fiammingo Philip Verheyen, scopritore del tendine di Achille, che usa il proprio corpo come luogo di ricerca. Sono diversi e tutti affascinanti i ritratti di questi vagabondi che, insieme, danno vita alla ricchezza di questo romanzo. Un libro che, per la sua potenza, è stato in grado di vincere l'International Man Booker Prize 2018 e di entrare nel cuore di molti lettori. Consigliatissimo!
Dice l’autrice che da bambina voleva essere come una barca sul fiume Oder, e cioè eterno movimento. Ebbene, I vagabondi è proprio così: eterno movimento di personaggi e storie, le più varie, come gli innumerevoli paesaggi che vedi in una lunga navigazione mentre sei al sicuro, accompagnato nel tuo viaggio da una scrittura sempre eccelsa quale che sia la modalità di racconto. Dovunque ti porti, in qualsiasi momento del tuo cammino, Olga Tokarczuk sa farti sentire a casa perché per lei ogni parola è vita. Pag. 16: «Chiunque abbia provato a scrivere un romanzo sa quanto è difficile farlo, senza dubbio è una delle professioni autonome peggiori. Bisogna restare ripiegati su se stessi, concentrati e in completa solitudine. È una psicosi controllata, una paranoia con l’ossessione del lavoro, senza piume d’oca, crinoline e maschere veneziane, come si potrebbe pensare, ma con addosso, piuttosto, un grembiule da macellaio e stivali di gomma, e in mano un coltello per l’eviscerazione. Dal seminterrato dello scrittore si vedono soltanto i piedi dei passanti, si sente il rumore dei tacchi. A volte qualcuno si ferma e si china per dare un’occhiata all’interno, e allora si riesce a scorgere un volto umano e perfino a scambiare qualche parola». Punto. Set. Partita. Nobel. Applausi.
I vagabondi, persone che viaggiano senza possedere nulla se non il proprio corpo, che osservano e si lasciano trasportare dalle suggestioni che innescano riflessioni anch’esse vagabonde. Per tornare sempre al corpo, unico elemento che consente l’esperienza del mondo. In ogni riflessione, in ogni breve racconto il corpo è sempre al centro, che sia esso conservato o studiato, che si desideri riprodurlo o sezionarlo per capirne i segreti perché, come scrive Josephine Soliman all’imperatore Francesco I, ‘Non c’è altro accesso agli altri uomini o al mondo se non attraverso il corpo’.