Venni distratto da una piccola, giovane lucertola che scivolando sul pavimento appena spolverato, si era rintanata sotto il tavolo delle proposte piazzato nel centro della libreria. Non sentii la domanda che una cliente occasionale mi rivolse; o meglio, la sentii ma non la ascoltai con attenzione. Preso da quei movimenti scomposti eppure sinuosi, il mio cervello assorbì la richiesta in modo superficiale, e mentre aspettava con una certa ansia che la lucertola uscisse dall'altro lato del mobile, mi spinse a rispondere istintivamente, quasi stessi ripetendo a pappagallo nozioni imparate in anni di esercizio mnemonico.
La mia risposta fu: "Moby Dick".
Continuai a muovermi circospetto attorno al tavolo che noi in libreria chiamiamo “delle meraviglie” perché ospita i libri che abbiamo letto e apprezzato di più e consigliamo ai nostri clienti con un amore che forse non avremmo neppure se li avessimo scritti noi.
Non volevo spaventare la bestiola, che da giorni fuggiva alle nostre ricerche nascondendosi nei pertugi più remoti. Volevo liberarla a tutti i costi, perché: quanto può sopravvivere una lucertola in libreria senza cibo, sole e tutte le cose di cui ha bisogno per sopravvivere una lucertola? Ma niente, non voleva proprio uscire.
La cliente nel frattempo metteva in discussione la mia risposta. "'Moby Dick: certo, bello, magnifico, ma la parte centrale? Quella in cui vengono descritti tutti i tipi di cetaceo, anche quelli che non esistono? Appesantiscono il romanzo."
"A me è piaciuta anche quella parte, signora."
Come diavolo potevo fare a stanare quella dannata lucertolina? Una scopa forse; poi avrei dovuto inseguirla rapido e bloccarla senza farle male. Come mai, oltretutto, le lucertole finivano spesso per entrare in libreria? Da dove? Gorizia non è una metropoli di cemento, certo, però la libreria non si trova in mezzo alla campagna.
La signora intanto si ostinava a voler attirare la mia attenzione, e ovviamente aveva ragione, ma il lizard affaire mi era scivolato sottopelle, ormai era diventato una sfida, un duello personale.
"Mi scusi, quindi la letteratura mitteleuropea? Dickens? I russi? Tolstoj e Dostoevskij?"
Dostoevskij ebbe la capacità di riscuotermi dal torpore e solo a quel punto mi resi conto sul serio di cosa stavamo parlando. No no no, avrei dovuto concentrarmi e riprendere il discorso da capo, avrei dovuto dialogare con la cliente, spiegarle il mio punto di vista a partire da un'osservazione: mi aveva posto la peggiore delle domande, quella che non si dovrebbe mai rivolgere ad un lettore:
"Qual è il tuo libro preferito?"
Come si può rispondere ad una domanda simile? Centinaia, migliaia di libri e tu dovresti sceglierne uno? Ma nemmeno dieci, venti! Mi voltai verso la signora e presi a spiegare con calma che la risposta di poco prima non era sbagliata, ma indubbiamente dettata dall'istinto, e tutto sommato, incompleta.
Non ho libri preferiti, ho libri importanti, che hanno segnato dei momenti nella mia carriera di lettore, che sono stati a volte cruciali per il periodo che stavo vivendo. Ecco, posso rispondere, con grande fatica, ad una domanda diversa:
"Quali sono stati finora i libri più importanti che hai letto?"
Posso al più stabilire una serie di titoli che mi ha accompagnato da quando ho capito che mi piacesse leggere, tracciare una sorta di “percorso in libri”, ricoprendo di noia chi ascolta e chi legge. Tutti conoscono la mia prolissità, tutti sanno cosa rischiano a pormi domande “complicate”. La signora non lo sapeva, e quando cominciai a snocciolare le mie elucubrazioni cominciò gradualmente ad afflosciarsi:
Il romanzo che probabilmente mi fece capire che da quel momento avrei letto sempre fu “I ragazzi della via Pal” : immedesimazione, avventura, contrasti, commozione e un finale clamorosamente diverso dai film Disney cui mi avevano abituato. Poi la mia maestra, che già alle elementari mi consigliò di leggere i racconti di Edgar Allan Poe! Chissà se lo farebbe ancora se vedesse come sono diventato negli anni...
La cliente cominciò a distogliere lo sguardo con maggiore frequenza, fingendo interesse per il primo scaffale che incrociò.
Nel frattempo entrarono altre persone, cui mi feci incontro per aiutarle in caso di necessità, tanto la signora non aveva un obiettivo preciso e desiderava solo trascorrere qualche minuto in mezzo ai libri. Qualche minuto di pace, immagino, con il senno di poi...
Dopo poco tornai all'attacco.
Nel periodo della fanciullezza ci furono 2, 3 titoli che mi stravolsero: “Il signore delle mosche” e “La storia infinita”. Il primo mi prese a schiaffi dalla prima all'ultima riga, il secondo mi sollevò da terra, anche se, curiosamente, non instillò in me la febbre da Fantasy.
Improvvisamente con la coda dell'occhio sorpresi la lucertola mentre usciva all'aperto scivolando ad ogni passo che neanche Carolina Kostner. Mi lanciai all'inseguimento lasciando di stucco i presenti, ma nonostante la buona volontà, non riuscii ad evitare che si cacciasse tra i pacchi di libri appena consegnati dal corriere. 30 pacchi. Un enorme cubo di cartone. Niente da fare, avrei dovuto aspettare un altro passo falso della nemica che volevo tanto liberare.
Poi arrivò la scoperta degli americani. Mentre i miei coetanei si innamorarono di Bukowski, io, pur riconoscendo i suoi meriti, persi la testa per uno dei suoi miti, John Fante: potrei eleggere tutti i suoi romanzi, ma preferisco citare uno dei meno noti, "La strada per Los Angeles" e il suo continuo oscillare tra la vanagloria e l'autocommiserazione, sempre con poesia. Contemporaneamente mi davo all'Europa, quasi a voler bilanciare la geografia. E, beh, "Delitto e castigo" ...
Mi voltai per sorridere sornione alla cliente. Non c'era più. Volatilizzata, scomparsa, dileguata. Avrei dovuto dedurre qualcosa da quella fuga repentina, invece mi accanii su una coppia di avventori che ebbero la cattiva idea di domandarmi a cosa si riferissero le ultime citazioni letterarie. Riassunsi brevemente il concetto di "carriera da lettore" che inventai poco prima con la signora Houdini, e ripresi a percorrere il sentiero che per me era una emozionante strada panoramica, per gli altri una polverosa via crucis.
Negli anni della presunzione, dopo ghiotte scorpacciate di Pennac e Kundera, Camus e Sartre, ci furono altri due titoli a farmi scoppiare come i pop corn: “Solomon Gursky è stato qui”, di Mordecai Richler, un'eruzione di creatività kosher, e “La marcia di Radetsky” di Joseph Roth, la sublime decadenza dell'impero.
Lucertola!!! Si diresse in campo aperto, errore tattico decisivo, la raggiunsi e la bloccai in un angolo: sembrava sfinita. Ragazza mia, nonostante tu sia l'animale più antico del mondo, hai peccato di ingenuità! Mi accinsi a raccoglierla e mi fermai a cinque centimetri da quel minuscolo drago saettante. Non riuscivo a prenderla in mano: tutta l'infanzia campagnola ad agguantare lucertole, insetti, topolini, e adesso provavo un senso di repulsione al pensiero di maneggiare quella robetta. Incredulità, delusione, angoscia.
"Scusi? Possiamo pagare?"
Circoscrissi l'area di battaglia e mi fiondai in cassa.
"Poi? La tappa successiva della tua carriera da lettore?"
Credo che la domanda sia stata un gesto di compassione nei miei confronti più che vero interesse per le mie contorsioni mentali.
Due titoli che potrebbero sembrare così diversi tra loro... eppure mi hanno steso attorno ai miei 30 anni, "Morte a credito" di Celine, un massacro per l'anima, e "Una banda di idioti" di Toole, l'ineguagliabile grottesco, come polverizzare secoli di letteratura grazie ad un personaggio talmente fastidioso da diventare adorabile.
Annuirono senza dar continuità al dialogo. Salutarono e uscirono dalla libreria; evidentemente già ritenevano un gesto filantropico l'avermi concesso l'opportunità di sparare altri due titoli dalla mia autocelebrativa cartuccera.
Peccato perché ormai era quasi arrivato alla fine del percorso. Vabbè, avevo sempre la mia lucertola imprigionata. Andai a recuperare la paletta e con timidi colpetti sulla coda riuscii a farla salire. A quel punto era esausta e si lasciò accompagnare sul retro. Vai, dannato animaletto dalla lingua biforcuta, vai a cercare un pertugio tra le pietre, vai a cercare qualcosa da mangiare, vai lontano da qui.
Al rientro credevo di essere solo, invece una voce dal soppalco mi sorprese chiedendomi
"Beh, sono qui da un'ora, adesso voglio sapere come va a finire!"
"Ho liberato la lucertola, è provata ma viva."
"No, intendevo la carriera del lettore."
Beh, qualche anno fa venni fulminato da due titoli, il “Libro delle mie vite” di Aleksandar Hemon, perché una tale onestà e un simile svelamento di prospettive è più unico che raro. E “Il grande cielo” di A.B. Guthrie, perché, sempre stando a quello che ho letto io, è IL romanzo di frontiera perfetto.
Il signore scese le scale con un ghigno sulle labbra.
"È finita qui? L'era contemporanea? L'attuale?"
"Credo sia necessario far trascorrere qualche anno per capire se un libro ti abbia effettivamente lasciato un segno e non sia magari un'infatuazione tanto bruciante quanto passeggera"
"Ma qualche ipotesi?"
"Credo che “Amnesia” di Cooper e “Paradise Falls” di Robertson abbiano le carte in regola per diventare delle tacche sulla mia fusoliera. Il primo mi ha scosso aprendo porte che non sapevo di avere. Il secondo è un libro-mondo di una vitalità e di una varietà che mi hanno commosso.
Se ne andò anche questo cliente. Nessuno decise di sfogliare uno dei suddetti volumi. Devo aver dato l'impressione di essere un fanatico, ma giuro che volevo solo sottolineare quanto sia personale un viaggio in libri; che non sempre i libri preferiti sono quelli che segnano una tappa nella tua crescita come lettore; che determinati volumi raccontano come eri e non necessariamente come sei. Ci sono altri mille libri da citare, ovviamente, questi sono "solo" quelli che personalmente hanno segnato una mini-epoca, un cortocircuito emozionale per il sottoscritto. Sottoscritto che era partito da Moby Dick, e che successivamente non citò più solo perché la balena bianca ha segnato quasi ogni tappa della sua carriera, visto che ha deciso di rileggerlo a cadenza regolare e ogni volta ne è uscito arricchito.
Entrò un altro cliente, uno abituale questa volta, chiacchierammo un po' poi lo lasciai in pace, avevo esaurito il numero massimo di parole per quella giornata. Dopo un po' tornò verso di me
"Ehi"
"Si"
"C'è una lucertola in negozio!"
Maledizione. Adesso ti lascio morire di fame...
... No, non posso! Ma mentre cerco di acchiapparti, nessuno mi faccia domande!